Quando si parla di Totò è imprescindibile non rammentare tutte le iniziative in sua memoria di Alberto De Marco. Avvocato di prestigio del Sud Italia, persona colta e di grande dialettica, sfoggia quasi senza accorgersene l’arte della retorica, propria della sua professione forense. Umanità e gentilezza sono le due qualità che “in primis” colpiscono nell’intervista. Uno studio accurato, con quadri colorati, che rivelano un animo signorile e stracolmo di virtù, che trasferisce nel sociale. È, cosí, che l’uomo di legge comincia a raccontare… Lui, uomo del Sud, innamorato del mito del Principe Antonio De Curtis, in arte Totò. L’indimenticabile Antonio, nato a Napoli il 15 febbraio 1898, in Via Antesaecula, 107 al Rione Sanità, proviene da una relazione con una popolana. Anna Clemente, questo il nome della mamma, lo registrò con il proprio cognome e con quello del Marchese Giuseppe de Curtis, un nobile che riconosce la paternità più tardi. Tempi difficili per Anna, soprannominata “Nannarella”. Sognava diventasse prelato o ufficiale di marina, ma manifestava una grande passione per il teatro. Totò era affascinato dalla figura del “pazzariello”. Il pugno di un giovane precettore gli deviò la mascella e il naso verso destra”. Totò ha rappresentato l’unica maschera vivente. Si eserciterà nell’imitazione delle macchiette. Indossa gli abiti del nonno, il frac. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruola. Dopo avere studiato le più celebri vedette napoletane, nascono le macchiette più famose. Non volle mai dimenticare la sofferenza e dimostrò nel corso della vita sempre sensibilità per i meno fortunati. Il padre, il marchese Giuseppe de Curtis, sposerà nel 1921 Anna Clemente e nel 1928 lo legittimerà come figlio, quando ha già ottenuto diversi riconoscimenti per le sue capacità artistiche. Nasce un dualismo tra Antonio de Curtis e Totò. Fu in seguito adottato da un nobile squattrinato, che aveva accolto in casa ed aveva sostenuto economicamente, come era nella sua indole di straordinaria umanità. Non sono da dimenticare gli atti di generosità del Principe, sia per i più umili che per gli animali. Generoso con gli istituti religiosi, con gli orfanotrofi e opere di beneficenza. Il 6 maggio 1941 con Decreto Ministeriale, fu riconosciuto discendente del Principe di Bisanzio. Le sentenze del 18 luglio 1945 e del 7 agosto 1946, della IV Sezione del Tribunale di Napoli, riconobbero ad Antonio de Curtis, come riporta De Marco, il diritto di fregiarsi dei nomi e dei titoli. La sua vita è stata costellata da tre grandi amori: con l’attrice Liliana Castagnola, di origine genovese; con la giovanissima fiorentina Diana Bandini Lucchesini Rogliani, che sposò e da cui nacque la figlia, Liliana. Con l’annullamento nel 1939 continuarono a vivere insieme per alcuni anni. Poi Antonio subì il fascino dell’attrice Silvana Pampanini. Un grande dolore gli ispirò la canzone “Malafemmena“. In seguito un altro amore con la bellissima attrice Franca Faldini, che aveva rinunciato per amore di Totò al contratto con la Paramount. Con l’attesa del figlio che era destinato a continuare il Casato, si sentiva appagato. Nel 1954, in una clinica romana, nacque il figlio tanto atteso, al quale fu imposto il nome Massenzio, che morì lo stesso giorno. Nel 1957, nel corso della tournée, mentre recitava al “Teatro Nuovo” di Milano, ebbe un collasso. Si aggravò e la cecità lo colpì in scena a Palermo, Fu costretto per molti mesi a letto. Si dedicò alla poesia “E pezziente”, “A mundana“, “A livella”, che rappresenta la sua eredità. Da attore teatrale, la sua ultima rappresentazione è con la Rivista “A Prescindere”. Dal punto di vista artistico l’attività cinematografica ebbe inizio nel 1937 con il film “Fermo con le mani”, per terminare con il 98’ film “Capriccio all’italiana”. Lì interpreta “Il mostro della domenica” di Steno e “Cosa sono le nuvole” di Pier Paolo Pasolini. Ormai quasi cieco, dopo il film con Pier Paolo Pasolini “Uccellacci e uccellini”, Ebbe il secondo “Nastro d’Argento“. Si ricorda il primo nastro con “Guardie e ladri” di Mario Monicelli. A Cannes “Il Globo d’oro“ per la critica internazionale. Altri prestigiosi Premi: “Saint Vincent”; “La Grolla d’Oro”; “il Premio Speciale degli incontri del Cinema”. Totò grande nel Cinema, fino al giorno prima della sua morte, con il film di Nanni Loy, “Il padre di famiglia”. All’improvviso, sembrerebbe per infarto, dovette ritirarsi e la sua parte passò ad Ugo Tognazzi. Totò spirò nell’aprile 1967. Le sue spoglie a Napoli nella sua Cappella del “Cimitero del Pianto”. Uomo e attore unico, che non sarà mai dimenticato.