All’esito di complesse investigazioni, sviluppate dagli specialisti economico-finanziari della Tenenza della Guardia di Finanza di Patti e sotto il coordinamento del Gruppo di Milazzo, consistite in intercettazioni telefoniche, articolate ricostruzioni documentali, integrate da accertamenti bancari, nonché da attività tipiche di polizia giudiziaria, è emerso come nel piccolo centro della fascia tirrenica messinese di Montagnareale risultasse operante una strutturata associazione criminale, capeggiata dal Sindaco Rosario Sidoti e composta da 9 membri della sua famiglia (i genitori, la moglie, la suocera, la figlia, le due sorelle, un cognato ed una cugina), dedita alla commissione di una pluralità di fatti di bancarotta fraudolenta e tentativi di accaparramento di ingenti finanziamenti pubblici – di matrice regionale e comunale – e connesse operazioni di riciclaggio e autoriciclaggio.
Nel dettaglio, sulla base delle odierne imputazioni provvisorie, che dovranno comunque trovare conferma in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, il primo cittadino, oggi destinatario della custodia cautelare ai domiciliari, attivamente coadiuvato da tutti i congiunti, destinatari del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi di persone giuridiche per la durata di dodici mesi, si è reso protagonista della costituzione di un fittissimo reticolato societario, composto da sette società, con sede a Montagnareale, Barcellona Pozzo di Gotto e Librizzi ed attive in svariati settori commerciali, dalla costruzione di edifici e strade alla compravendita di beni immobili, sino allo svolgimento di attività ricettiva, di cui tre portate alla decozione, fallite e progressivamente svuotate dei rispettivi patrimoni a favore di altre società consorelle, appartenenti al medesimo gruppo, ovvero dei membri della famiglia indagata.
Lo schema criminale oggetto d’indagine, oggi represso, definito dallo stesso Giudice come “estremamente sofisticato, molto elaborato, consolidato, ripetitivo, efficace e assai remunerativo”, aveva la finalità non solo di determinare le cennate bancarotte fraudolente e connesse operazioni di reimpiego dei patrimoni fraudolentemente distratti, ma anche – attraverso artifici e raggiri – di indebitamente intercettare cospicui finanziamenti pubblici, concessi dal comune di Montagnareale e dal vicino comune di Librizzi e da enti regionali.
Il corposo materiale indiziario raccolto, allo stato ritenuto caratterizzato da profili di gravità, ha permesso di meticolosamente censire tutta la galassia societaria, documentando come, scientemente, venissero fatti lievitare i debiti di alcune società, soprattutto nei confronti dell’Erario, poi non onorati, mentre i relativi guadagni venissero puntualmente distratti a favore degli indagati, compiendo innumerevoli e variegate operazioni fraudolente, tali da poter definire le casse societarie come veri e propri bancomat personali del gruppo.
In altri termini, sino a che le società servivano a tali illecite finalità, quali la creazione di illegittimi guadagni o l’acquisizione di finanziamenti pubblici, la relativa immagine, data ai creditori, era di solidità finanziaria, ma una volta “spremuta” e conseguito il massimo guadagno, l’impresa carica di debiti veniva abbandonata e lasciata naufragare verso un inesorabile, quanto preordinato, fallimento.
I componenti del gruppo oggi represso ponevano in essere, altresì, mirate iniziative volte a paralizzare eventuali azioni di recupero da parte degli stessi creditori, attraverso articolate operazioni con altre realtà societarie appartenenti al medesimo gruppo, ovvero attraverso vorticosi giri di denaro.
Le nuove società, quindi, raccoglievano “il testimone” da quelle fallite, proseguendo ad operare sul mercato sempre riproponendo i medesimi illeciti metodi di gestione e con le medesime finalità: un sistema definibile “a staffetta”.
Nel medesimo ambito, quindi, il competente G.I.P. del Tribunale di Patti, aderendo alla richiesta avanzata dalla locale Procura della Repubblica, ha anche disposto il sequestro diretto, preordinato alla confisca, delle somme presenti sui conti correnti di quattro degli indagati, per l’ammontare complessivo di € 2,5 milioni, pari, cioè, all’ingiusto profitto ottenuto dalla commissione dei reati contestati, oltre al sequestro di n. 3 unità immobiliari, del valore stimato di 1 milione di euro, site a Librizzi e Taormina, perché oggetto delle distrazioni fraudolente, nonché dei finanziamenti pubblici richiesti e delle condotte riciclatorie.