Grande successo per il convegno “Il caso Graziella Campagna: dov’è finita la giustizia”, svoltosi ieri sera in una gremita Sala Antiquarium del Comune di Rodì Milici. Filippo Campisi presidente dell’associazione Pedalare e organizzatore dell’evento ha messo subito in evidenza – “Vogliamo essere vicini alla famiglia Campagna, considerate le ultime vicende, vogliamo manifestare solidarietà e dare un messaggio a chi è deputato alle leggi, di rivederle. La povera Graziella sottoterra da 37 anni, mentre il killer gode di libertà. Non ha senso.”
Ha portato i saluti del sindaco di Rodì, l’assessore alla Cultura Sabrina Coppolino.
Presenti i due fratelli Piero e Pasquale Campagna, indignati e ancora una volta delusi dallo Stato e dalla Giustizia. Una storia infinita l’hanno definita, fatta di depistaggi e intrecci per seppellire la verità. “La semilibertà all’assassino di Graziella è stata una scelta vergognosa – ha dichiarato Pasquale Campagna – oggi la giustizia ha trasmesso grande negatività andando contro chi in questi anni, come noi, ha combattuto, dicendo a tutti i ragazzi nelle scuole che bisogna credere nei valori della giustizia, trasformando il nostro dolore in impegno”.
È stata data la semilibertà ad una persona che non si è mai pentita, che non ha mai collaborato con la giustizia, e “che non ha scontato la sua pena, contrariamente a quanto affermato dal sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia Paolo Sisto – sottolinea il fratello Pasquale – È un fatto molto grave”. La piccols Graziella è stata assassinata barbaramente, trucidata con cinque colpi di fucile a distanza ravvicinata a soli 17 anni, nel 1985. È stata rapita, interrogata e uccisa per aver trovato un’agenda contenente informazioni scottanti, al punto da costarle la vita.
“Ma quanto vale la vita umana per i nostri politici? Quanto vale la vita umana per la nostra giustizia? Oggi si è garanti delle vittime innocenti o per i criminali? A cosa sono serviti i grandi sacrifici di Falcone, Borsellino, di tutte quella persone che sono cadute per mano della mafia?
A che sono servite le morti di tanti piccoli innocenti, di ragazzini, di donne? A che cosa è servita la morte dell’urologo Manca, che oggi si pensa ancora che sia un suicidio? Io mi chiedo cosa possiamo dire ancora ai ragazzi? Quale positività potremo trasmettere loro? Finchè la giustizia e soprattutto la politica, non daranno un taglio forte alla mafia non ci potrà essere mai giustizia nel tempo”.
Indignato ed arrabbiato si definisce Piero Campagna, perché Sutera era stato già scarcerato altre volte e pure Alberti. Gli assassini di Graziella hanno fatto circa nove o dieci anni di carcere, non hanno completato il loro percorso carcerario. Tanta è la rabbia nel ricordare che la piccola sorellina è stata messa in ginocchio e non c’hanno pensato più di due volte per darle cinque colpi di fucile, “nonostante i sacrifici ventiquattro anni di processo (più degli anni di Graziella) lo Stato da i benefici a questi assassini disumani. Loro hanno ucciso Graziella, lo Stato oggi ha ucciso la sua memoria con questo gesto. Sutera non meritava di essere scarcerato, di ottenere la semilibertà, perché non si è mai riabilitato, non ha mai detto la verità, non ha pagato il suo debito. Questo non è giusto, è un’offesa per tutte le vittime di mafia e per tutta la società intera”.
Un ringraziamento particolare è stato fatto a Filippo Campisi dell’associazione Pedalare, che ha organizzato e moderato il convegno. “Quest’incontro è costruttivo per la legalità – ha aggiunto Piero – perché fa parte dell’antidoto per contrastare le mafie. La verità è un dovere e un diritto, tutti debbono dire la verità, ma tutti devono conoscere la verità. Senza legalità non si può andare avanti. Legalità vuol dire essere normali. E se ci tolgono la normalità? Ed è lo Stato che ci toglie la normalità, perché in questo caso Graziella è stata uccisa per l’ennesima volta dallo Stato. E questo non ci da speranza. A cosa serve allora andare nelle scuole a parlare legalità?”
L’avvocato Nino Todaro, vice presidente Camera Penale del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, ha trattato gli aspetti più tecnici, sottolineando che al di là della valutazione di natura sociale, personale e umana, “va fatta una valutazione anche di natura giuridica, cioè: sono state rispettate le regole previste dall’ordinamento penitenziario? Da qui bisogna partire per capire se c’è stato un corto circuito nel sistema giustizia.”