Un mese difficile, quello di dicembre per la prima squadra della Polisportiva Nino Romano, che sembrava non volesse finire mai.
Due sconfitte in esterna, il turno di riposo e la difficoltà di venir a capo di una situazione complessa quanto basta per togliere la serenità sportiva degli attimi in cui sogni e realtà si incontrano nel finito di qualche set e arriva la sconfitta figlia delle proprie paure di crescere e diventare grande davvero. Da spartiacque le festività natalizie e quella pausa rigenerante, utile a fare staccare la spina a staff e atlete.
Forse proprio l’ingrediente che serviva per ritrovare la bellezza del sorriso ed il profumo tipico di quell’atmosfera in cui l’abbraccio finale dei protagonisti suggella la settimana precedente al match, fatta di applicazione costante, ascolto e fiducia reciproca, trame ripetute all’infinito, ancora e ancora.
Nell’intervista rilasciata ai microfoni dell’ufficio stampa societario subito dopo la trasferta di Siracusa, Federica Lo Duca, il 2° allenatore della serie C, lo aveva bene fotografato il momento di difficoltà, inspiegabile per tanti versi, con parole ed espressioni del volto complete in ogni dettaglio; quel suo sguardo lungo, oltre l’occhio della videocamera, capace già da solo di fissare dettagli e ammettere, con umiltà, l’incapacità di trovare risposte ma anche la voglia di riscatto, di spingersi in quella ricerca delle soluzioni, tipica dell’allenatore attento e sempre pronto a mettersi in discussione. Una ricerca che ha condotto nel silenzio, mister Mauro Maccotta, abituato a far parlare il lavoro e la competenza piuttosto che vane parole perché tutto è vanità se non il confronto con se stessi, con la stessa Federica, il suo braccio destro, con il presidente, Maurizio Lo Duca, sempre lì presente a soffrire più di ogni altro; anche in questo caso poche parole. E poi stringersi in cerchio con loro, le sue ragazze, le atlete della Nino Romano, quel gruppo fragile quanto coeso.
Con loro sí che le parole servono; serve, anzitutto, consegnare loro le chiavi per aprire il proprio baule personale di esperienze e scoprire tesori fatti di qualità da tirar fuori, per “educere” perché quando il vento non è quello perfetto per surfare, serve svestire i panni dell’allenatore e tornare educatore, per consentire a loro, giovanissime, di comprendere ancora qualcosa in più di se stesse, del presente intorno, di questo meraviglioso sport, finanche di questa pazza quotidianità fatta di cadute in acqua, risalite a forza di braccia sulla tavola e nuova ricerca d’equilibrio, precario si, ma necessario per tentare ancora di cavalcare l’onda e trovarsi, oltre quel bordo superiore della rete, ad esultare per un pallone murato o messo a terra in più di chi affronta i tuoi stessi fantasmi e sospira nei tuoi stessi desideri.
E allora la vittoria ritrovata è solo il passo, quello del passaggio che ti conduce ad un nuovo capitolo della storia.
Così domenica, sul campo della Cyclopis, lontano dal pubblico amico, una delle tante chiavi – forse la più preziosa perché fatta di legami presenti e solidi –, si guarderanno in faccia più volte, le “RomaNine”, e prima di dare spazio al primo fischio di autorizzazione al servizio, si diranno con un breve cenno d’intesa che, adesso sì, quella paura di crescere e diventare grandi fa meno paura e concede più speranza di farcela ancora una volta.