Prometeo è un eroe che sfida l’incognita del tempo, appeso, solitario lassù su quel monte oscuro, colpevole di aver voltato le spalle a Zeus padre degli dei per il gesto di profondo amore che ha compiuto verso il genere umano, donando alla razza mortale il sacro fuoco danzante.
Inerme, vinto dalle catene forgiate da Efesto, cova rancore mentre un’aquila gli divorerà il fegato che, durante la notte, ricrescerà al fine di rinnovare la pena inflitta dal supremo rivale, per un tempo infinito.
Interessante la scelta scenografica di ambientare la tragedia in una fabbrica ormai abbandonata, un groviglio di tubi nel quale campeggia la ciminiera in metallo che funge da prigione per il Titano scopritore della tecnica, che qui disvela tutta la sua umana fragilità.
Ad introdurre di volta in volta i personaggi sulla scena, un carrello che corre su un binario che collega lo spazio scenico con quello extrascenico: è da qui che fa il suo ingresso Prometeo, scortato dalle parole ingiuriose di Bia, Kratos ed Efesto. Dall’alto del corpo metallico, il Titano lancia una sfida al potere del signore degli dei; sollecitato invano dall’arrivo improvviso di Oceano a desistere dai suoi propositi, l’agonia di Prometeo viene mitigata dalla presenza delle Oceanine che restano accanto a lui per tutto il tempo della messa in scena consigliandolo, supportandolo ma impossibilitate a porre fine alla misera condizione esistenziale che gli è toccata in sorte.
E mentre prosegue il soliloquio dello sfortunato protagonista, fa irruzione sulla scena un’altra vittima del capriccio di Zeus: Io, figlia di Inaco, una delle tante amanti di Zeus trasformata in giovenca, condotta alla follia da un tafano che la punge notte e giorno durante il suo perpetuo girovagare di terra in terra. Sfiancata dal viaggio, Io racconta alle Oceanine la sua storia e riceve da Prometeo la notizia del compimento della profezia di Crono che annuncia la fine della “tirannia” di Zeus proprio per mano di un discendente della fanciulla dalle corna dorate.
Fuggita via, Io lascia spazio al dio Ermes che tenta di riportare alla ragione il protagonista: anche questo è un tentativo fallito. Prometeo non riuscirà a sfuggire alla vendetta di Zeus, avvolto dai fulmini, dal fragore e dal fuoco che rimarcano l’incontrastabilità del suo potere supremo.
Il Titano va, dunque, incontro al suo destino, immobile, statico, come statica appare tutta la rappresentazione: movimenti calibrati, minimali, travalicati soltanto dalla sfrenatezza della giovane Io.