Il paradossale titolo, come spiega ai nostri microfoni lo stesso artista, nasce dal rifiuto di etichettare le opere con un titolo incapace di definire pienamente il contenuto ritratto.
L’impatto visivo è di grande intensità: tele di media grandezza che si impongono nella maestosità di colori sgargianti, che disegnano percorsi narrativi lasciati alla libera interpretazione di chi le osserva. Le opere dialogano con il fruitore sprigionando tutta la creatività di cui sono capaci e che l’autore non ha voluto imprigionare attribuendo un titolo esemplificativo.
Pandolfo è votato all’astrattismo; nelle forme scolpite sulla tela riverbera il suo mondo interiore, il suo inconscio, attraverso un percorso mirato alla scoperta di un viaggio emozionale.
“Non ho voluto attribuire alcun titolo alle mie opere perché ritengo che sia fuorviante. Cito l’episodio in cui il critico James Johnson invitò Jackson Pollock a cambiare il titolo di un suo quadro, che lui avrebbe voluto nominare Balena Bianca, in onore al capolavoro di Melville, e che invece mutò in Pasifae. Ora, Pollock era americano, e dubito che conoscesse la mitologia classica: non mi stupirei se, alla fine della chiacchierata con Johnson avesse chiesto chi mai fosse questa Pasifae! Anche perché, osservando quel quadro, che oggi è custodito al Metropolitan Museum of Art di New York, non c’è nulla che richiami alla presenza della madre del Minotauro”.